« Indietro
La scrittrice Laura Lindstedt sarà a Roma per presentare il suo romanzo Oneiron a Più libri più liberi, la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria.
Si è inaugurata oggi, mercoledì 7 dicembre, la quindicesima edizione di Più libri più liberi, la Fiera Nazionale della Piccola e Media editoria. Fino all'11 dicembre, il Palazzo dei Congressi dell'Eur a Roma ospiterà più di 300 eventi tra incontri con gli autori, dibattiti, reading e performance musicali.
Domenica 11 dicembre, alle 17.00, la scrittrice finlandese Laura Lindstedt presenterà il suo romanzo Oneiron. L'autrice dialogherà con Valeria Parrella. Letture di Sylvia De Fanti.
Presentazione del romanzo Oneiron di Laura Lindstedt
A cura di Elliot in collaborazione con FILI – Ambasciata di Finlandia
domenica 11 dicembre 2016
ore 17,00
Sala Smeraldo
Palazzo dei Congressi
Piazza John Kennedy, 1
00144 Roma
Abbiamo parlato della Lindstedt e del suo romanzo tradotto in italiano da Irene Sorrentino per la casa editrice Elliot, in un post del 3 ottobre scorso; riproponiamo la scheda del libro e un estratto dell'opera:
Oneiron, una parola nuova, quasi una formula magica che tiene legate Nina, Ulrike, Polina, Shlomith, Rosa Imaculada, Wlbgis e Maimuna, le sette protagoniste di questo romanzo.
Le donne s’incontrano inspiegabilmente in uno spazio bianco, vuoto, forse un limbo.
Non ricordano che cosa gli sia successo né sanno dove si trovano o perché. Decidono di intraprendere a turno un percorso a ritroso tra i brandelli dei loro ricordi. Ognuna di esse, grazie al sostegno delle altre, troverà il modo di ricostruire la propria identità e pronunciare una parola capace di donare loro per sempre la libertà.
Un romanzo corale e polifonico, carico di densità filosofica. Un racconto affascinante che parla di corpi adulati, violentati, ridisegnati, usati come mezzo artistico, fonte di vita e causa di morte, in uno dei maggiori casi editoriali dell’anno.
Oneiron di Laura Lindstedt
Traduzione di Irene Sorrentino
Piccole girelle alla cannella con ripieno di storie Shlomith raccontò: «Come sapete, sono un’artista. Faccio performance, per il mio lavoro mi spingo sui confini, quelli scomodi, persino pericolosi. Tuttavia non faccio mai del male agli altri, se non al massimo a me stessa. Il mondo è pieno di violenza, ma non diminuirebbe, neanche se facessi saltare in aria i centri commerciali pieni di spazzatura prodotta in condizioni immorali. Scuoto gli animi ma non offendo l’inviolabilità di nessuno. Se qualcuno rimane offeso, è una questione d’interpretazione, dipende dal fatto che, per dirla in senso metaforico, ho colpito un nervo scoperto. È tutto chiaro fino a qui?
Il mio ultimo ricordo è associato alla performance che ho tenuto nella mia città natale, a New York, nell’auditorio Scheuer del Jewish Museum sulle connessioni tra anoressia ed ebraismo. Adopero la mia religione e la mia cultura come materiale per le mie esibizioni. Ho appena terminato, sto in piedi in mutande davanti all’asta del microfono e aspetto una reazione. Mi sono limitata a parlare del soggetto in esame, ho sciorinato solo fatti puri e semplici, ho dichiarato di assumermi la totale responsabilità di me stessa e delle mie opere ma, nonostante ciò, so di aver risvegliato in alcuni una rabbia primitiva. Mi sono preparata alla frutta marcia, alle uova, alle bottigliette d’acqua e alle pietruzze. I controlli per la sicurezza sono stati più severi del solito, perciò niente di veramente pericoloso può volare dal pubblico. Sono passati tutti attraverso un metal-detector, le borse sono state controllate e gli zaini grandi non sono stati ammessi in sala. Per sicurezza la mia assistente, l’insostituibile Katie McKeen, è pronta a bordo palco, nascosta dietro il sipario rosso. Siamo già d’accordo, se sul palco comincia a piovere qualcosa, lei verrà a prendermi. Aprirà un grosso ombrellone nero e riparandoci con quello cammineremo insieme fino alla stanza sul retro, dove nessun esterno ha accesso.
Due guardie armate piantonano la porta. Nel cortile sul retro del museo mi aspetta un’ambulanza. Noto che la premeditazione, se non addirittura la spudoratezza, che innegabilmente si collegano a questa performance sconcertano alcune di voi. Ma, non parliamo di questo adesso. Mi sono semplicemente imbarcata in un viaggio di studio alla scoperta della mia cultura che dopo una serie di curve è, a veder bene, la cultura collettiva di noi stronzi privilegiati. Ho sfruttato il mio corpo nella sua totalità, come sempre quando faccio la mia arte. L’ho messo al servizio del mio studio, l’ho reso uno strumento di cui mi prendevo cura con grande amore. Vitamine, oligoelementi, acidi grassi, tutto precisamente calcolato e conteggiato. Ad assistermi c’era una terapista alimentare. Il mio scopo principale non era uccidermi di fame, ma ovviamente ho abbassato davvero di molto il mio apporto energetico in rapporto al consumo. Aspiravo a un indice di massa dodici e ci sono arrivata, persino un po’ sotto. Conoscevo i rischi, non sono mica stupida.
Il mio movente? Quando faccio qualcosa, la faccio al massimo. Non posso fare altrimenti. Sono stata malata per anni, sempre se, a questo mondo, il rifiuto volontario del cibo si può chiamare malattia. Alla fine ho voluto conoscere la mia patologia fin dentro nell'anima – non solo per ragioni di egoismo o di storia personale, ma anche per motivi di ricerca culturale. Perché, in ultima analisi, questa è la malattia comune di tutti noi. In questa malattia e nelle sue varianti c’è un’anima ed è l’anima ebraica, l’orizzonte dell’anima semita.
Questa è la mia tesi e questa è l’anima che credo di esser riuscita a mettere a nudo. È per tale merito che ho ricevuto un’immensa ovazione. Non frutta marcia né uova puzzolenti. Quelle le avrebbero potute lanciare dei neonazisti infiltrati tra il pubblico, degli ebrei ultraortodossi haredì o dei cristiani estremisti, perché tutti loro hanno un unico nemico comune: me. Polina, è inutile che mi guardi in questo modo. Di questa cosa non ne vado mica fiera, è semplicemente un fatto! Nel corso della mia carriera mi sono arrivate minacce di morte, un paio di persecutori disturbati mi hanno assalito e una volta hanno provato a investirmi con la macchina. Ma non ho mai arretrato di un passo: il richiamo dell’arte è stato più forte della paura. Ho il chiodo fisso dell’integrità e non mi arrendo, neanche se la mia integrità arriva a disturbare e far uscir di senno qualcuno fragile di nervi.
Più libri più liberi: Biglietti e info
Roma, 11 dicembre: Laura Lindstedt presenta il suo romanzo Oneiron
Il 07/12/2016
La scrittrice Laura Lindstedt sarà a Roma per presentare il suo romanzo Oneiron a Più libri più liberi, la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria.
Si è inaugurata oggi, mercoledì 7 dicembre, la quindicesima edizione di Più libri più liberi, la Fiera Nazionale della Piccola e Media editoria. Fino all'11 dicembre, il Palazzo dei Congressi dell'Eur a Roma ospiterà più di 300 eventi tra incontri con gli autori, dibattiti, reading e performance musicali.
Domenica 11 dicembre, alle 17.00, la scrittrice finlandese Laura Lindstedt presenterà il suo romanzo Oneiron. L'autrice dialogherà con Valeria Parrella. Letture di Sylvia De Fanti.
Presentazione del romanzo Oneiron di Laura Lindstedt
A cura di Elliot in collaborazione con FILI – Ambasciata di Finlandia
domenica 11 dicembre 2016
ore 17,00
Sala Smeraldo
Palazzo dei Congressi
Piazza John Kennedy, 1
00144 Roma
Abbiamo parlato della Lindstedt e del suo romanzo tradotto in italiano da Irene Sorrentino per la casa editrice Elliot, in un post del 3 ottobre scorso; riproponiamo la scheda del libro e un estratto dell'opera:
Oneiron, una parola nuova, quasi una formula magica che tiene legate Nina, Ulrike, Polina, Shlomith, Rosa Imaculada, Wlbgis e Maimuna, le sette protagoniste di questo romanzo.
Le donne s’incontrano inspiegabilmente in uno spazio bianco, vuoto, forse un limbo.
Non ricordano che cosa gli sia successo né sanno dove si trovano o perché. Decidono di intraprendere a turno un percorso a ritroso tra i brandelli dei loro ricordi. Ognuna di esse, grazie al sostegno delle altre, troverà il modo di ricostruire la propria identità e pronunciare una parola capace di donare loro per sempre la libertà.
Un romanzo corale e polifonico, carico di densità filosofica. Un racconto affascinante che parla di corpi adulati, violentati, ridisegnati, usati come mezzo artistico, fonte di vita e causa di morte, in uno dei maggiori casi editoriali dell’anno.
Oneiron di Laura Lindstedt
Traduzione di Irene Sorrentino
Piccole girelle alla cannella con ripieno di storie Shlomith raccontò: «Come sapete, sono un’artista. Faccio performance, per il mio lavoro mi spingo sui confini, quelli scomodi, persino pericolosi. Tuttavia non faccio mai del male agli altri, se non al massimo a me stessa. Il mondo è pieno di violenza, ma non diminuirebbe, neanche se facessi saltare in aria i centri commerciali pieni di spazzatura prodotta in condizioni immorali. Scuoto gli animi ma non offendo l’inviolabilità di nessuno. Se qualcuno rimane offeso, è una questione d’interpretazione, dipende dal fatto che, per dirla in senso metaforico, ho colpito un nervo scoperto. È tutto chiaro fino a qui?
Il mio ultimo ricordo è associato alla performance che ho tenuto nella mia città natale, a New York, nell’auditorio Scheuer del Jewish Museum sulle connessioni tra anoressia ed ebraismo. Adopero la mia religione e la mia cultura come materiale per le mie esibizioni. Ho appena terminato, sto in piedi in mutande davanti all’asta del microfono e aspetto una reazione. Mi sono limitata a parlare del soggetto in esame, ho sciorinato solo fatti puri e semplici, ho dichiarato di assumermi la totale responsabilità di me stessa e delle mie opere ma, nonostante ciò, so di aver risvegliato in alcuni una rabbia primitiva. Mi sono preparata alla frutta marcia, alle uova, alle bottigliette d’acqua e alle pietruzze. I controlli per la sicurezza sono stati più severi del solito, perciò niente di veramente pericoloso può volare dal pubblico. Sono passati tutti attraverso un metal-detector, le borse sono state controllate e gli zaini grandi non sono stati ammessi in sala. Per sicurezza la mia assistente, l’insostituibile Katie McKeen, è pronta a bordo palco, nascosta dietro il sipario rosso. Siamo già d’accordo, se sul palco comincia a piovere qualcosa, lei verrà a prendermi. Aprirà un grosso ombrellone nero e riparandoci con quello cammineremo insieme fino alla stanza sul retro, dove nessun esterno ha accesso.
Due guardie armate piantonano la porta. Nel cortile sul retro del museo mi aspetta un’ambulanza. Noto che la premeditazione, se non addirittura la spudoratezza, che innegabilmente si collegano a questa performance sconcertano alcune di voi. Ma, non parliamo di questo adesso. Mi sono semplicemente imbarcata in un viaggio di studio alla scoperta della mia cultura che dopo una serie di curve è, a veder bene, la cultura collettiva di noi stronzi privilegiati. Ho sfruttato il mio corpo nella sua totalità, come sempre quando faccio la mia arte. L’ho messo al servizio del mio studio, l’ho reso uno strumento di cui mi prendevo cura con grande amore. Vitamine, oligoelementi, acidi grassi, tutto precisamente calcolato e conteggiato. Ad assistermi c’era una terapista alimentare. Il mio scopo principale non era uccidermi di fame, ma ovviamente ho abbassato davvero di molto il mio apporto energetico in rapporto al consumo. Aspiravo a un indice di massa dodici e ci sono arrivata, persino un po’ sotto. Conoscevo i rischi, non sono mica stupida.
Il mio movente? Quando faccio qualcosa, la faccio al massimo. Non posso fare altrimenti. Sono stata malata per anni, sempre se, a questo mondo, il rifiuto volontario del cibo si può chiamare malattia. Alla fine ho voluto conoscere la mia patologia fin dentro nell'anima – non solo per ragioni di egoismo o di storia personale, ma anche per motivi di ricerca culturale. Perché, in ultima analisi, questa è la malattia comune di tutti noi. In questa malattia e nelle sue varianti c’è un’anima ed è l’anima ebraica, l’orizzonte dell’anima semita.
Questa è la mia tesi e questa è l’anima che credo di esser riuscita a mettere a nudo. È per tale merito che ho ricevuto un’immensa ovazione. Non frutta marcia né uova puzzolenti. Quelle le avrebbero potute lanciare dei neonazisti infiltrati tra il pubblico, degli ebrei ultraortodossi haredì o dei cristiani estremisti, perché tutti loro hanno un unico nemico comune: me. Polina, è inutile che mi guardi in questo modo. Di questa cosa non ne vado mica fiera, è semplicemente un fatto! Nel corso della mia carriera mi sono arrivate minacce di morte, un paio di persecutori disturbati mi hanno assalito e una volta hanno provato a investirmi con la macchina. Ma non ho mai arretrato di un passo: il richiamo dell’arte è stato più forte della paura. Ho il chiodo fisso dell’integrità e non mi arrendo, neanche se la mia integrità arriva a disturbare e far uscir di senno qualcuno fragile di nervi.
Più libri più liberi: Biglietti e info