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Ieri, 27 luglio 2016, è morto il grande compositore finlandese Einojuhani Rautavaara, all'età di 87 anni. Figura carismatica e capostipite di una intera generazione di compositori, che dalla Finlandia si sono fatti conoscere in tutto il mondo. Autore prolifico, ha composto sette opere e otto sinfonie, oltre a numerosi altri lavori orchestrali, concerti, musiche cameristiche e vocali.
Era nato a Helsinki nel 1928, aveva studiato all'Accademia Sibelius con Aarre Merikanto, poi con Vincent Persichetti alla Juilliard School di New York, e con Roger Sessions e Aaron Copland a Tanglewood. Si era imposto all'attenzione internazionale per la prima volta nel 1955 con A Requiem in Our Time.
Nel suo linguaggio aveva mirato inizialmente a fondere alcuni procedimenti tipici della dodecafonia e della musica seriale con dei tratti romantici. Poi, all'inizio degli anni Settanta, aveva definitivamente abbandonato le tecniche seriali, alla ricerca di una musica ricca di colori, pervasa di melodia e dalla forte carica evocativa
La sua ultima composizione è stata Orpheus singt, lavoro per coro a cappella su testi di Rainer Maria Rilke, eseguito il 25 giugno 2016 al Ludwigsburger Schlossfestspiele, con il SWR Vokalensemble Stuttgart diretto da Marcus Creed.
Nel suo teatro musicale ha spesso cercato soggetti legati al tema della creatività e della follia, come dimostrano le opere dedicate ad artisti e poeti, Vincent e Aleksis Kivi. Ma allo stesso filone appartiene anche l'opera Rasputin, messa in scena a Helsinki nel 2003 con grande successo. L'opera descrive le vicende di Rasputin contadino, profeta, guaritore, ubriaco e maniaco sessuale, sullo sfondo del crepuscolo dell’impero russo. Con una musica melodiosa e piena di scene corali. Opera scritta su misura per Matti Salminen, ha chiamato in causa altre star della lirica finlandese come Jorma Hynninen, Lilli Paasikivi, Riikka Rantanen, ed è uscita nel 2005 anche in dvd (Ondine ODV 4002)
Questa è la mia recensione dello spettacolo di Helsinki, pubblicata sulla rivista L'Opera nel 2003
La crisi della Russia alla fine del 1916 aveva reso intollerabile l'ingerenza di Grigory Yefimovich Rasputin negli affari di governo. Risultate inutili le pressioni sullo zar Nicola II, un gruppo di congiurati decise di uccidere il misterioso monaco che fu attirato in un tranello avvelenato, finito a colpi di pistola e gettato nella Neva il 16 dicembre 1916. Questa drammatica vicenda rivive nella nuova opera di Einojuhani Rautavaara, Rasputin, presentata in prima mondiale al Teatro dell’Opera di Helsinki. Il settantacinquenne compositore finlandese, apprezzato in gioventù anche da Sibelius, autore di composizioni sinfoniche e di opere per il teatro amatissime nel suo paese (come Aleksis Kivi che qualche anno fa è andato in scena anche al Teatro Rendano di Cosenza), ha scritto il libretto a partire da una biografia di Edvard Radzinsky basata su materiale d’archivio reso accessibile dopo il crollo dell’Unione Sovietica. L’impianto drammaturgico che ne risulta è piuttosto tradizionale, ma pieno di tensione, e le vicende di Rasputin si intrecciano con quelle della famiglia imperiale, della zarina irretita dalla personalità di Rasputin al punto di diventarne amante, del principe Felix Jusupov, della sua bella moglie Irina e del suo rapporto con il granduca Dmitrij, del deputato alla duma Puriškevich. Sullo sfondo il crepuscolo dell’impero russo e i bagliori della rivoluzione. Rautavaara ha sottolineato soprattutto le contraddizioni del protagonista, contadino e illetterato, eppure muzhik profondamente religioso, profeta, guaritore (nella prima scena cura un attacco di emofilia dell’erede al trono), e d’altro canto ubriaco e maniaco sessuale, incarnazione della corruzione e della dissolutezza. E ha impregnato l’opera di una atmosfera mistico-ortodossa (è lo stesso compositore a ricordare la profonda impressione che gli procurò da piccolo la visita a un monastero ortodosso di Valamo, che ispirò anche il ciclo per pianoforte Ikonit e il pezzo per coro Vigilia), di un “colore” russo (ma privo di citazioni folkloriche) evidente soprattutto nelle sontuose scene corali, come la processione pasquale che apre il secondo atto («mio Dio – esclama il compositore - suona come il Boris Godunov!»), la scena delle seguaci di Rasputin che richiama lo Stravinskij delle Noces, le canzoni e le danze nella scena degli zingari. Musica seducente, intensamente lirica (non solo nelle parti vocali), ricca di colori (nell’organico compariva anche il sintetizzatore che evocava con suoni sinistri il demonio), armonicamente sapiente (costruita su giochi speculari di accordi), forse poco articolata dal punto di vista ritmico, ma incardinata su materiali di impatto immediato, elaborati in modo da ottenere una sorta di crescita organica e grandi accumuli di tensione drammatica. Al centro la parte vocale di Rasputin, scritta su misura per Matti Salminen, voluto da Rautavaara per la sua figura imponente e terribile («nelle immagini Rasputin appare molto diverso da Salminen, è molto più magro, ma lo sguardo è lo stesso, forte, terrificante»), che rendeva benissimo la doppia natura di santo e peccatore, emozionante nella scena finale quando veniva ripetutamente colpito a morte restando però in piedi aggrappato ad una impalcatura. Accanto a Salminen, perfetto anche vocalmente per il fraseggio sempre espressivo, in una tessitura non sempre comoda, e per le sorprendenti doti di resistenza («una maratona!» che lo ha impegnato a cantare per quasi due ore difilato), altri big della lirica finlandese: il baritono Jorma Hynninen, voce nobile per lo zar Nicola, il mezzosoprano Lilli Paasikivi che ha dato corpo e voce alla seducente e tormentata figura della zarina Alexandra Fyodorovna, Riikka Rantanen nei panni di Irina Yusupova, ammirata per la morbidezza dell’emissione, Lassi Virtanen dal timbro acido e penetrante, nel ruolo del folle flagellante Mitya, il tenore Jyrki Anttila bravissimo nel rendere con garbo la ambiguità sessuale di Felix Yusupov (che nel secondo atto si presenta vestito da donna). Incantevoli i concertati delle quattro figlie dello zar (Sari Aittokoski, Tuija Knihtilä, Helena Juntunen, Anna-Kristiina Kaappola), come la preghiera serale che concludeva il primo atto. Opera guidata con sicurezza dal giovane Mikko Franck, che ha dimostrato una grande sintonia con il linguaggio di Rautavaara, e fastosamente allestita da Vilppu Kiljunen (che aveva già firmato la regia di Aleksis Kivi), con le scene di Hannu Lindholm, i costumi di Kimmo Viskari, le coreografie di Petri Kekoni. Ne è risultato uno spettacolo immerso in ambienti enormi oscuri, fatto di pareti scrostate sulle quali affioravano brandelli di tappezzeria e di icone, di quinte mobili che creavano effetti di vertigine, di affollate processioni, di danze frenetiche come quella dei Khlysti nel primo atto che sfociava in un’orgia («solo commettendo il peccato ci si può purificare dal peccato»), di scene cariche di erotismo, come la cena di Rasputin con le sue rasputinki, dove si mesolavano devozione e perversione, preghiere e palpeggiamenti, in maniera anche divertente (Rasputin, con la bottiglia di vodka in mano, faceva la sua entrata in scena sgattaiolando dal tavolo dove erano sedute le donne). Peccato per l’ultimo quadro un po’ troppo didascalico, quando Rasputin appariva in sogno alla zarina per profetizzare la fine dell’impero, e sulla sua voce amplificata sbucava dalla nebbia un manipolo di bolscevichi. Alla fine standing ovation per Rautavaara. (Gianluigi Mattietti)
È scomparso ieri Einojuhani Rautavaara
Il 28/07/2016
Ieri, 27 luglio 2016, è morto il grande compositore finlandese Einojuhani Rautavaara, all'età di 87 anni. Figura carismatica e capostipite di una intera generazione di compositori, che dalla Finlandia si sono fatti conoscere in tutto il mondo. Autore prolifico, ha composto sette opere e otto sinfonie, oltre a numerosi altri lavori orchestrali, concerti, musiche cameristiche e vocali.
Era nato a Helsinki nel 1928, aveva studiato all'Accademia Sibelius con Aarre Merikanto, poi con Vincent Persichetti alla Juilliard School di New York, e con Roger Sessions e Aaron Copland a Tanglewood. Si era imposto all'attenzione internazionale per la prima volta nel 1955 con A Requiem in Our Time.
Nel suo linguaggio aveva mirato inizialmente a fondere alcuni procedimenti tipici della dodecafonia e della musica seriale con dei tratti romantici. Poi, all'inizio degli anni Settanta, aveva definitivamente abbandonato le tecniche seriali, alla ricerca di una musica ricca di colori, pervasa di melodia e dalla forte carica evocativa
La sua ultima composizione è stata Orpheus singt, lavoro per coro a cappella su testi di Rainer Maria Rilke, eseguito il 25 giugno 2016 al Ludwigsburger Schlossfestspiele, con il SWR Vokalensemble Stuttgart diretto da Marcus Creed.
Nel suo teatro musicale ha spesso cercato soggetti legati al tema della creatività e della follia, come dimostrano le opere dedicate ad artisti e poeti, Vincent e Aleksis Kivi. Ma allo stesso filone appartiene anche l'opera Rasputin, messa in scena a Helsinki nel 2003 con grande successo. L'opera descrive le vicende di Rasputin contadino, profeta, guaritore, ubriaco e maniaco sessuale, sullo sfondo del crepuscolo dell’impero russo. Con una musica melodiosa e piena di scene corali. Opera scritta su misura per Matti Salminen, ha chiamato in causa altre star della lirica finlandese come Jorma Hynninen, Lilli Paasikivi, Riikka Rantanen, ed è uscita nel 2005 anche in dvd (Ondine ODV 4002)
Questa è la mia recensione dello spettacolo di Helsinki, pubblicata sulla rivista L'Opera nel 2003
La crisi della Russia alla fine del 1916 aveva reso intollerabile l'ingerenza di Grigory Yefimovich Rasputin negli affari di governo. Risultate inutili le pressioni sullo zar Nicola II, un gruppo di congiurati decise di uccidere il misterioso monaco che fu attirato in un tranello avvelenato, finito a colpi di pistola e gettato nella Neva il 16 dicembre 1916. Questa drammatica vicenda rivive nella nuova opera di Einojuhani Rautavaara, Rasputin, presentata in prima mondiale al Teatro dell’Opera di Helsinki. Il settantacinquenne compositore finlandese, apprezzato in gioventù anche da Sibelius, autore di composizioni sinfoniche e di opere per il teatro amatissime nel suo paese (come Aleksis Kivi che qualche anno fa è andato in scena anche al Teatro Rendano di Cosenza), ha scritto il libretto a partire da una biografia di Edvard Radzinsky basata su materiale d’archivio reso accessibile dopo il crollo dell’Unione Sovietica. L’impianto drammaturgico che ne risulta è piuttosto tradizionale, ma pieno di tensione, e le vicende di Rasputin si intrecciano con quelle della famiglia imperiale, della zarina irretita dalla personalità di Rasputin al punto di diventarne amante, del principe Felix Jusupov, della sua bella moglie Irina e del suo rapporto con il granduca Dmitrij, del deputato alla duma Puriškevich. Sullo sfondo il crepuscolo dell’impero russo e i bagliori della rivoluzione. Rautavaara ha sottolineato soprattutto le contraddizioni del protagonista, contadino e illetterato, eppure muzhik profondamente religioso, profeta, guaritore (nella prima scena cura un attacco di emofilia dell’erede al trono), e d’altro canto ubriaco e maniaco sessuale, incarnazione della corruzione e della dissolutezza. E ha impregnato l’opera di una atmosfera mistico-ortodossa (è lo stesso compositore a ricordare la profonda impressione che gli procurò da piccolo la visita a un monastero ortodosso di Valamo, che ispirò anche il ciclo per pianoforte Ikonit e il pezzo per coro Vigilia), di un “colore” russo (ma privo di citazioni folkloriche) evidente soprattutto nelle sontuose scene corali, come la processione pasquale che apre il secondo atto («mio Dio – esclama il compositore - suona come il Boris Godunov!»), la scena delle seguaci di Rasputin che richiama lo Stravinskij delle Noces, le canzoni e le danze nella scena degli zingari. Musica seducente, intensamente lirica (non solo nelle parti vocali), ricca di colori (nell’organico compariva anche il sintetizzatore che evocava con suoni sinistri il demonio), armonicamente sapiente (costruita su giochi speculari di accordi), forse poco articolata dal punto di vista ritmico, ma incardinata su materiali di impatto immediato, elaborati in modo da ottenere una sorta di crescita organica e grandi accumuli di tensione drammatica. Al centro la parte vocale di Rasputin, scritta su misura per Matti Salminen, voluto da Rautavaara per la sua figura imponente e terribile («nelle immagini Rasputin appare molto diverso da Salminen, è molto più magro, ma lo sguardo è lo stesso, forte, terrificante»), che rendeva benissimo la doppia natura di santo e peccatore, emozionante nella scena finale quando veniva ripetutamente colpito a morte restando però in piedi aggrappato ad una impalcatura. Accanto a Salminen, perfetto anche vocalmente per il fraseggio sempre espressivo, in una tessitura non sempre comoda, e per le sorprendenti doti di resistenza («una maratona!» che lo ha impegnato a cantare per quasi due ore difilato), altri big della lirica finlandese: il baritono Jorma Hynninen, voce nobile per lo zar Nicola, il mezzosoprano Lilli Paasikivi che ha dato corpo e voce alla seducente e tormentata figura della zarina Alexandra Fyodorovna, Riikka Rantanen nei panni di Irina Yusupova, ammirata per la morbidezza dell’emissione, Lassi Virtanen dal timbro acido e penetrante, nel ruolo del folle flagellante Mitya, il tenore Jyrki Anttila bravissimo nel rendere con garbo la ambiguità sessuale di Felix Yusupov (che nel secondo atto si presenta vestito da donna). Incantevoli i concertati delle quattro figlie dello zar (Sari Aittokoski, Tuija Knihtilä, Helena Juntunen, Anna-Kristiina Kaappola), come la preghiera serale che concludeva il primo atto. Opera guidata con sicurezza dal giovane Mikko Franck, che ha dimostrato una grande sintonia con il linguaggio di Rautavaara, e fastosamente allestita da Vilppu Kiljunen (che aveva già firmato la regia di Aleksis Kivi), con le scene di Hannu Lindholm, i costumi di Kimmo Viskari, le coreografie di Petri Kekoni. Ne è risultato uno spettacolo immerso in ambienti enormi oscuri, fatto di pareti scrostate sulle quali affioravano brandelli di tappezzeria e di icone, di quinte mobili che creavano effetti di vertigine, di affollate processioni, di danze frenetiche come quella dei Khlysti nel primo atto che sfociava in un’orgia («solo commettendo il peccato ci si può purificare dal peccato»), di scene cariche di erotismo, come la cena di Rasputin con le sue rasputinki, dove si mesolavano devozione e perversione, preghiere e palpeggiamenti, in maniera anche divertente (Rasputin, con la bottiglia di vodka in mano, faceva la sua entrata in scena sgattaiolando dal tavolo dove erano sedute le donne). Peccato per l’ultimo quadro un po’ troppo didascalico, quando Rasputin appariva in sogno alla zarina per profetizzare la fine dell’impero, e sulla sua voce amplificata sbucava dalla nebbia un manipolo di bolscevichi. Alla fine standing ovation per Rautavaara. (Gianluigi Mattietti)